Nei giorni scorsi Michele Serra, dalle pagine de “La Repubblica”, ha lanciato un appello per organizzare una manifestazione 𝗣𝗘𝗥 𝗟’𝗘𝗨𝗥𝗢𝗣𝗔 di sole bandiere europee, che abbia come obiettivo la libertà e l’unità dei popoli europei.
Dal mio punto di vista, innanzi ad un mondo in cui si affermano sempre più i movimenti sovranisti e le autarchie aggressive, che mettono in pericolo i valori di democrazia, libertà e pace, la prospettiva democratica dell’integrazione politica, sociale, economica e anche di difesa dei popoli europei per gli Stati Uniti d’Europa appare assolutamente necessaria e urgente.
Io parteciperò, tuttavia mi auguro non vi siano ambiguità: l’Europa per cui manifesterò è quella che aspira, nel più breve tempo possibile, a diventare la Federazione degli Stati Uniti d’Europa, che includa, per essere chiari, anche l’integrazione degli eserciti nazionali; un’Europa unita e democratica che negozi certamente la pace con la Federazione Russa per porre fine alla guerra di quest’ultima contro l’Ucraina, senza però rinunciare a sostenere con fermezza la legittima aspirazione del popolo ucraino alla democrazia, alla libertà, all’autodeterminazione e alla ragionevole sicurezza di non subire ulteriori aggressioni
📍 𝗔 𝗺𝗶𝗼 𝘀𝗼𝗺𝗺𝗲𝘀𝘀𝗼 𝗮𝘃𝘃𝗶𝘀𝗼, 𝘀𝗮𝗿𝗲𝗯𝗯𝗲 𝘂𝗻 𝘀𝗲𝗴𝗻𝗮𝗹𝗲 𝗱𝗶 𝗰𝗼𝗻𝘀𝗮𝗽𝗲𝘃𝗼𝗹𝗲𝘇𝘇𝗮 𝗱𝗲𝗺𝗼𝗰𝗿𝗮𝘁𝗶𝗰𝗮 𝘀𝗲 𝗮𝗻𝗰𝗵𝗲 𝗱𝗮 𝗦𝗽𝗼𝗹𝗲𝘁𝗼 𝗽𝗮𝗿𝘁𝗶𝘀𝘀𝗲 𝘂𝗻 𝗻𝘂𝘁𝗿𝗶𝘁𝗼 𝗴𝗿𝘂𝗽𝗽𝗼 𝗱𝗶 𝗰𝗶𝘁𝘁𝗮𝗱𝗶𝗻𝗲 𝗲 𝗰𝗶𝘁𝘁𝗮𝗱𝗶𝗻𝗶 𝗽𝗲𝗿 𝗽𝗮𝗿𝘁𝗲𝗰𝗶𝗽𝗮𝗿𝗲 𝘀𝗮𝗯𝗮𝘁𝗼 𝟭𝟱 𝗺𝗮𝗿𝘇𝗼 𝟮𝟬𝟮𝟱, 𝗮𝗹𝗹𝗲 𝗼𝗿𝗲 𝟭𝟱, 𝗮 𝗣𝗶𝗮𝘇𝘇𝗮 𝗱𝗲𝗹 𝗣𝗼𝗽𝗼𝗹𝗼 𝗮 𝗥𝗼𝗺𝗮, 𝗮𝗹𝗹𝗮 𝗺𝗮𝗻𝗶𝗳𝗲𝘀𝘁𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲 “𝗨𝗻𝗮 𝗣𝗶𝗮𝘇𝘇𝗮 𝗽𝗲𝗿 𝗹’𝗘𝘂𝗿𝗼𝗽𝗮”.
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Di seguito riporto il citato articolo di Michele Serra apparso su La Repubblica.
𝙧𝙚𝙥𝙪𝙗𝙗𝙡𝙞𝙘𝙖.𝙞𝙩
𝗨𝗡𝗔 𝗣𝗜𝗔𝗭𝗭𝗔 𝗣𝗘𝗥 𝗟’𝗘𝗨𝗥𝗢𝗣𝗔
𝙙𝙞 𝙈𝙞𝙘𝙝𝙚𝙡𝙚 𝙎𝙚𝙧𝙧𝙖
27 febbraio 2025
Il mondo sta cambiando con una velocità imprevista, la storia galoppa e non concede requie nemmeno ai più disattenti e ai più pigri. Il disorientamento, e anche un livello non ordinario di paura, sono stati d’animo diffusi: ognuno di noi può percepirli nelle conversazioni quotidiane. Non serve un politologo o un filosofo, basta un amico al bar per sapere che si guarda al presente con sconcerto, e al futuro con apprensione.
Esiste ancora il concetto politico-strategico di “Occidente” nel quale sono cresciute le ultime generazioni di — appunto — occidentali? Che fine farà l’Europa, che oggi ci appare il classico vaso di coccio tra due vasi di ferro, per giunta ricolmi di bombe atomiche? Sopravviverà la way of life europea a questa stretta, che mette in discussione ciò che banalmente chiamiamo democrazia, ovvero separazione dei poteri, diritti e doveri uguali per tutti, libertà religiosa e laicità dello Stato, pari dignità e pari serenità per chi è al governo e chi si oppone?
E se le autocrazie parlano semplice e parlano chiaro (e parlano falso a loro piacimento, grazie alla costante contraffazione tecnologica della realtà), quale linguaggio dovrà adottare l’Europa perché la sua voce non solo sia udibile, ma anche forte, convincente, seducente almeno quanto la voce dei suoi nemici?
Mi è capitato di rispondere a queste domande nel modo più istintivo. Forse, anche, nel modo più “sentimentale” — ma le emozioni esistono, e a farne senza poi si vive male. In un’Amaca di pochi giorni fa, intitolata “Dite qualcosa di europeo”, e nella mia newsletter sul Post, mi sono domandato perché non si organizza una grande manifestazione di cittadini per l’Europa, la sua unità e la sua libertà. Con zero bandiere di partito, solo bandiere europee. Qualcosa che dica, con la sintesi a volte implacabile degli slogan: “qui o si fa l’Europa o si muore”. Nella sua configurazione ideale, lo stesso giorno alla stessa ora in tutte le capitali europee. Nella sua proiezione più domestica e abbordabile, a Roma e/o Milano, sperando in un contagio continentale.
In ambedue i casi la quantità di mail e di messaggi traducibili con “io ci sto, io ci sarò, ditemi solo dove e quando” è stata semplicemente impressionante. Non mi era mai capitato niente del genere in decenni di scrittura pubblica. È come se mi fossi affacciato dalle due finestrelle di cui dispongo per vedere se giù in strada c’era qualcuno con cui scambiare quattro chiacchiere, e avessi trovato una piazza già piena. Non convocata, non organizzata, ma con una volontà di esserci che non è nemmeno un desiderio: è proprio una necessità. E pure essendo molto circoscritta — come è chiaro a me per primo — la mia platea mediatica, mi sono detto che forse è il caso di insistere. Di provarci. Anche perché le omissioni, in una fase così grave e convulsa della storia, sono imperdonabili.
Io non ho idea di come si organizzi una manifestazione. Non è il mio mestiere. Non ho neanche, a differenza delle Sardine, cultura e destrezza social quante ne servono per rendere veloce e pervasiva la convocazione di un evento. Non so nemmeno dirvi a che cosa serva esattamente, in questo nuovo evo, una manifestazione di persone in carne e ossa: se sia un rito arcaico e pedestre di fronte al dilagare fulminante delle adunate algoritmiche; se sia un moto generoso ma destinato poi a disperdersi nelle ovvie difficoltà politiche (unire l’Europa ma come? Ma quando? E scavalcando per primo quale dei cento ostacoli senza poi inciampare nel secondo?).
Ma penso che una manifestazione di sole bandiere europee, che abbia come unico obiettivo (non importa quanto alla portata: conta la visione, conta il valore) la libertà e l’unità dei popoli europei, avrebbe un significato profondo e rasserenante per chi la fa, e si sentirebbe meno solo e meno impotente di fronte agli eventi. E sarebbe un segnale non trascurabile, forse addirittura un segnale importante, per chi poi maneggia le agende politiche; e non potrebbe ignorare che in campo c’è anche un’identità europea “dal basso”, un progetto politico innovativo e rivoluzionario che non si rivolge al passato, ma parla del domani. Parla dei figli e dei nipoti.
Mi rivolgo dunque a chiunque abbia idea di come fare, sia l’ultimo degli elettori o il primo dei parlamentari, la più nota delle figure pubbliche o il più anonimo dei cittadini. Associazioni, sindacati, partiti, purché disposti poi a scomparire, uno per uno, nel blu monocromo della piazza europeista. Il mio sassolino nello stagno l’ho lanciato, speriamo che piovano pietre.