IL MONDO CHE VERRÀ

da Alfredo

“In pace i figli seppelliscono i padri, mentre in guerra sono i padri a seppellire i figli”, diceva Erodoto, quindi è naturale e giusto che la pace sia l’ambizione di ogni popolo.

Donald J. Trump, 47° presidente degli Stati Uniti, si presenta come il campione della pace globale, un titolo che, secondo lui, gli spetterebbe di diritto, tanto da considerare un’ingiustizia storica l’assegnazione del Premio Nobel per la Pace a Barack Obama invece che a lui; infatti, a differenza del suo predecessore, Trump rivendica di non aver avviato guerre durante il suo primo mandato e di voler, dopo la presidenza Biden, porre fine a quelle esistenti nel suo secondo mandato.

Il forty-seventh accusa i Democrats di essere responsabili del caos globale, attribuendo loro la paternità delle guerre attuali. Un’accusa che trova sorprendentemente concordi alcuni dei leader più autoritari del mondo: da Vladimir Putin a Kim Jong-un, passando per Xi Jinping e Ali Khamenei, il coro è unanime nell’attribuire la colpa delle tensioni mondiali alle élite corrotte di Washington.
Élite di Washington talmente corrotte che, in fondo, i facinorosi che tentarono l’assalto il 6 gennaio 2021 a Capitol Hill avevano ragioni talmente fondate da meritare, in gran parte, il perdono presidenziale del forty-seventh.

Che dire poi dell’apparato di sicurezza militare transatlantica che Putin indica come il vero responsabile della guerra in Ucraina? Trump non lo nega e addirittura Papa Francesco ha dichiarato che “forse l’abbaiare della Nato alla porta della Russia ha indotto il capo del Cremlino a reagire male e a scatenare il conflitto”.
Poco importa dunque se un popolo come quello ucraino si sia sollevato in nome del principio di autodeterminazione e per la sua libertà, le colpe della NATO sono messe in primo piano e le ragioni di politica reale delle sfere di influenza debbono prevalere. L’Ucraina, la Finlandia, i Paesi baltici per il fatto stesso di essere finitimi alla Federazione Russa di Putin devono avere meno garanzie, non importando affatto che loro non hanno mai aggredito la Russia, mentre sia avvenuto il contrario.

In questo quadro, la NATO diventa il nemico comune, un’alleanza che Trump considera, nel migliore dei casi, una struttura che vampirizza le risorse finanziarie statunitensi e, nel peggiore dei casi, addirittura, un ostacolo alla sua visione di un nuovo ordine internazionale.

Con questa impostazione, Trump si discosta radicalmente dalla tradizione statunitense bipartisan – cioè sia dei Repubblicani sia dei Democratici – che ha guidato la politica estera statunitense e dell’Europa occidentale negli ultimi ottanta anni almeno.
Tutto questo ragionamento, tuttavia, fa scattare all’orecchio di un democratico che si sia formato all’insegna dei principi di libertà qualche campanello di allarme, infatti il nuovo ordine che Trump immagina contiene in sé enormi paradossi, poiché se da un lato promette pace, dall’altro i suoi obiettivi dichiarati appaiono smaccatamente bellicosi.

Appare dunque ragionevole interrogarsi se una ricetta zeppa di ingredienti urticanti possa, attraverso la loro combinazione, portare a un risultato edibile per tutti.

Trump vuole la pace con Putin, senza garanzie per il destino di paesi democratici come Georgia, Estonia, Lituania, Lettonia e Ucraina, i quali sono minacciati dal capo del Cremlino.

Trump vuole la pace per l’Ucraina martoriata, ma chiede che la stessa ripaghi gli Stati Uniti con 500 miliardi di dollari in terre rare, per i 55 miliardi ricevuti di aiuti militari.

Trump vuole la pace, ma fa incontrare il suo inviato speciale per l’Ucraina e la Russia con il ministro degli esteri della Federazione Russa, Lavrov, per discutere della fine della guerra in Ucraina senza la presenza del presidente dell’Ucraina eletto democraticamente, Zelensky, e senza l’UE, che ha fornito aiuti economici e militari agli ucraini, paragonabili per dimensioni a quelli statunitensi. Sul territorio dell’UE sono stati accolti 8 milioni di profughi ucraini e il territorio ucraino è esso stesso Europa.

Trump vuole la pace, ma desidera l’annessione della Groenlandia alla sovranità americana, staccandola dalla pacifica Danimarca.

Trump vuole pacificare la Striscia di Gaza, ma vuole nello stesso tempo trasformarla in un’area di lusso con resort e casinò sotto la diretta sovranità statunitense, esiliando milioni di gazawi.

Trump vuole la pace, ma si dichiara pronto ad annettere il civile e mite Canada, facendolo diventare la 51ª stella della bandiera americana.

Trump vuole la pace, ma vorrebbe strappare a Panama il suo canale di collegamento interoceanico.

Trump vuole la pace, ma il suo “good buddy” Musk critica ad alzo zero, sul suo social X, il capo del governo del Regno Unito, Keir Starmer, cioè il primo ministro della nazione della “special relationship”, il quale andrebbe sostituito con un esponente di Reform UK.

Trump vuole la pace, ma il suo capo del D.O.G.E., Elon Musk, interviene in collegamento da remoto ad un comizio di Alternative für Deutschland, indicando quella formazione come la migliore speranza per la Germania.

Trump vuole la pace, ma suo vice, J.D. Vance, insulta gli europei alla recente Conferenza sulla sicurezza di Monaco di Baviera, dichiarando che i rischi non provengono dalla Russia o dalla Cina, ma dall’erosione dei valori democratici in Europa, quasi stesse parlando agli hillbilly del Kentucky.

E mentre predica con parole guerriere la pace globale, propone barriere tariffarie contro alleati storici e democratici come l’Unione Europea, il Canada e il Giappone.

Questa pace trumpiana mette paura. E se la pace mette paura a mezzo mondo, non è autentica pace.

È infatti difficile immaginare che le nazioni coinvolte, diciamo oggetto delle sue attenzioni, accettino passivamente la sua dottrina geopolitica senza resistenze.

L’ipotesi più plausibile è che il presidente punti a un accordo con Cina e Russia per dividere il mondo in tre sfere d’influenza, eliminando ogni spazio per il dissenso.

Uno scenario che ricorda in modo inquietante le distopie orwelliane, in cui Oceania, Eurasia ed Estasia dominavano incontrastate i propri territori, dove a regnare era il bipensiero basato sui noti principi per cui la Guerra è Pace, la Libertà è Schiavitù e l’Ignoranza è Forza.

Quella di Trump è dunque una strana idea di pace che si disgiunge dalla giustizia basata sui principi sociali, liberali e democratici occidentali; è un’ambizione globale che, nei fatti, rischia di essere un preludio a nuove tensioni, le quali purtroppo si concentrano in gran parte attorno al collo dell’Europa.

Più che un pacificatore, l’ex presidente sembra voler ridisegnare gli equilibri mondiali secondo una logica che mette in discussione decenni di diplomazia occidentale e persino l’idea stessa di Occidente e dei suoi principi democratici e liberali. In questo senso, la stessa NATO, come organizzazione militare in mano a paesi che condividono un comune destino di democrazia e libertà sia individuali sia collettive, perde notevolmente di significato. D’altro canto, se il mondo nuovo immaginato da Trump è basato su due grandi sfere di influenza ordinatrici, l’una statunitense, l’altra cinese, e su una minore ad appannaggio della Russia, lo spazio europeo appare soccombente, togliendo ogni senso al trattato Nord-Atlantico.

Naturalmente, se le responsabilità di Trump sono chiare, non mancano quelle europee. L’UE nasce per impedire che le nazioni del vecchio continente si facciano la guerra l’una contro l’altra, come avevano fatto per secoli; tuttavia, questo obiettivo è stato centrato ormai da decenni e, in questo lasso di tempo che ci porta ai giorni nostri, non si è avuto il coraggio di completare la costruzione politica di una vera e propria nazione europea “autocefala” che abbia la forza per difendere sé stessa dai pericoli esterni.
L’Europa arriva dunque a questo snodo della storia da incompiuta per gravi responsabilità delle sue classi dirigenti; oggi l’UE è minacciata dall’esterno da questo nuovo ordine che si profila e dall’interno da formazioni politiche che trasportano all’interno le pulsioni autoritarie prodottesi sul piano geopolitico globale.

Nelle sue “Lettere dal carcere”, Antonio Gramsci rifletteva sui fatti politici degli ultimi anni ’20 e dei primi ’30 del secolo scorso. Egli scriveva: “Il vecchio mondo sta morendo. Quello nuovo tarda a comparire. E in questo chiaroscuro nascono i mostri.”
C’è il rischio che queste riflessioni di Gramsci si rivelino profetiche anche per la fine di questi anni ’20 e per i prossimi anni ’30.

Ieri i capi di governo di molti paesi europei si sono incontrati a Parigi per delineare una strategia rispetto alle questioni sopra esposte: un primo segnale di consapevolezza.

Tutti vogliamo che la guerra in Ucraina cessi, tutti vogliamo che le armi tacciano, tutti vogliamo che i padri non seppelliscano i figli caduti in campo di battaglia, tutti vogliamo un accordo di pace per l’Ucraina.
Vogliamo però anche che l’accordo di pace sia solido ed equo al punto da poterci costruire sopra un equilibrio mondiale giusto e duraturo, infatti le conseguenze della Conferenza di Monaco del 1938 sono lì a farci da monito.

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